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Manca l’abitabilità? il notaio non c’entra

L’ennesima sentenza della Cassazione ha ribadito quello che ormai dovrebbe essere chiaro: in caso di vendita di immobile non abitabile (o non agibile) l’unico che rischia è il venditore.

Ma perché?

Perché il notaio non ha l’obbligo, in via generale, di controllare la veridicità della dichiarazione di sussistenza del certificato di abitabilità.

Ma un appartamento senza abitabilità può essere venduto?

La risposta è sicuramente sì, purché la circostanza sia nota all’acquirente, il quale potrebbe trovare conveniente l’acquisto anche in mancanza della certificazione.

Se però il venditore attesta falsamente l’esistenza dell’abitabilità è tutt’un altro paio di maniche.

Che confusione!

Facciamo un po’ d’ordine: se l’immobile è privo di abitabilità e l’acquirente non lo sa, l’atto è annullabile e il venditore è chiamato alla restituzione del prezzo ed al risarcimento del danno.

Se invece questa circostanza è nota all’acquirente, egli può sicuramente rifiutarsi di stipulare l’atto, in quanto l’immobile è privo di una qualità essenziale, così come – al contrario – può decidere di procedere egualmente all’acquisto (magari usufruendo di un vantaggio economico).

E allora?

L’abbiamo già detto molte volte: il venditore deve far controllare l’esistenza della certificazione di abitabilità/agibilità, così come la conformità edilizia-urbanistica e catastale, prima di mettere in vendita l’immobile; così non correrà nessun rischio, neppure quello di vedere la vendita sfumare perché magari, a trattativa avanzata, ci si rende conto dell’esistenza di problemi al riguardo.

Il geometra sa come si fa!

Appartamento senza abitabilità – agibilità

Con la sent. n. 2294 del 30/1/2017 la Cassazione ha ribadito che il venditore di un immobile abitativo ha sempre l’obbligo di consegnare il certificato di abitabilità (ora agibilità); se non lo fa, il contratto è annullabile (nei dieci anni successivi).

Cosa può succedere?

In questa situazione il venditore, oltre che alla restituzione della somma pagata, può incorrere nella condanna al risarcimento del danno, con conseguenze che possono essere drammatiche.

E quindi?

Per non correre rischi la soluzione è una sola: affidarsi a un tecnico competente – secondo noi il geometra (meglio se esperto in due diligence) – perché controlli la regolarità edilizia, urbanistica e catastale dell’immobile prima ancora di affidare l’incarico di vendita all’agenzia.

Perché prima dell’agenzia?

Perché oggi trovare un acquirente è difficile; se poi deve aspettare i tempi delle verifiche può anche darsi che cambi idea!

Ma questa agibilità c’è oppure no?

La Cassazione (sent. 2438/2016) si è nuovamente espressa con chiarezza: la mancanza del certificato di agibilità dell’immobile autorizza i promissari acquirenti a non stipulare il contratto definitivo.

Se l’agibilità/abitabilità manca

La Suprema Corte ha ritenuto che il venditore ha l’obbligo di consegnare il certificato di agibilità, in base all’articolo 1477 3° co. C.C. e quindi il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, è pienamente giustificato.

Di chi è la colpa?

Ciò anche se il mancato rilascio è dipeso dall’inerzia del Comune, nei cui confronti comunque l’obbligato ad attivarsi è il promittente venditore.
La Cassazione in sostanza afferma che il mancato rilascio del certificato, pur non configurando una condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore, «attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incide sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto».

E quindi?

La morale  è la solita;

prima di mettere in vendita un bene immobile è indispensabile farne verificare la regolarità edilizia e la presenza del certificato di agibilità;

se il tecnico scoprirà qualche problema sarà più semplice ed economico porvi rimedio in quel momento.

Il geometra sa come si fa!

Quando manca l’abitabilità

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Se manca l’abitabilità [oggi agibilità], il promissario acquirente può recedere dal contratto e il promittente venditore deve essere condannato a pagare il doppio della caparra.

La casa che non può essere abitata è infatti un bene inadeguato ad assolvere alla funzione sociale ed economica per la quale doveva essere acquistato. E ciò anche quando oggetto del contratto sono pure un’autorimessa e una soffitta per i quali l’abitabilità non risulta richiesta; questo dicono i giudici della Cassazione (sent. 629/14).

La morale da trarre è la solita: prima di mettere in vendita un bene immobile è indispensabile farne verificare la regolarità; se il tecnico scoprirà qualche problema sarà più semplice ed economico porvi rimedio.

Non si può essere tranquilli nemmeno se l’immobile è già stato venduto prima o proviene da un’eredità: purtroppo queste circostanze non contano nulla ed accorgersi di una irregolarità quando il preliminare è già stato firmato è spesso molto costoso.

IMU e fabbricato non ultimato

Per fabbricato in corso di costruzione (F/3) l’Imu da pagare è quella dell’area edificabile su cui il fabbricato viene costruito; se il fabbricato è «finito» ma ancora senza abitabilità/agibilità l’Imu è comunque dovuta.

Secondo il TAR Calabria (sent. n. 530/2013) l’accatastamento del fabbricato, anche se non ultimato, equivale a utilizzazione dello stesso e implica pertanto l’applicazione dell’Imu sull’unità immobiliare costruita, anche se priva del certificato di abitabilità.

 

Hai comprato senza abitabilità? puoi essere risarcito!

Hai comprato senza abitabilità?

Secondo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione la vendita di un’abitazione priva del certificato di abitabilità configura la mancanza di un requisito giuridico essenziale: pertanto scatta a favore dell’acquirente  il diritto al risarcimento.

Puoi essere risarcito!

La giurisprudenza ritiene che se la casa comprata si rivela priva del permesso di abitabilità l’immobile è totalmente difforme da quanto pattuito:  esso non può essere legittimamente fruito né eventualmente ben rivenduto  perché la sua commerciabilità risulta ridotta.

Questo diritto si prescrive nel termine ordinario, cioè dopo dieci anni.

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